Turchia chiama Italia

Atatürk. Il fondatore della Turchia Moderna - Fabio Grassi.

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Turchia chiama Italia

Il 23 aprile scorso, come ogni anno, si e’ celebrata la Sovranita’ Nazionale commemorando la prima apertura del parlamento, che il padre fondatore Mustafa Kemal Atatürk ha voluto dedicare ai bambini, intesi come il futuro non solo della Nazione, ma anche del mondo. Sebbene quest’anno, a differenza del passato, le celebrazioni pubbliche siano state bandite in linea con le restrizioni atte a contenere il Covid, diversi sono stati i proclami e i gesti simbolici per onorare questo giorno che proprio nel 2020 segna il primo secolo della Grande Assemblea Nazionale. Il carosello di bandiere nazionali affisse alle finestre; i flashmob dai balconi sulla note dell’ Istiklal Marşi – inno nazionale dell’Indipendenza; gli aerei Turkish Airlines che, solcando i cieli nazionali, hanno disegnato con le loro traiettorie la bandiera della Turchia e gli innumerevoli post sui social, a cui si sono unite le dichiarazioni delle piu’ alte cariche istituzionali e i fuochi di artificio del Meclis - Parlamento- di Ankara, sono solo alcuni esempi di quanto questa data abbia un significato unico e sia estremamente sentita dai turchi. Il 23 aprile, infatti, ha segnato una tappa miliare nella storia della moderna Repubblica di Turchia  in quanto nel 1920, proprio durante la Guerra di Indipendenza, per la prima volta la Grande Assemblea Nazionale si riuni’ ad Ankara e gettò le basi per uno stato sovrano indipendente, secolare e moderno.  In seguito alla sconfitta delle forze di invasione alleate il 9 settembre 1922 e alla firma del Trattato di Losanna il 24 luglio 1923, Atatürk iniziò il suo compito di fondare le istituzioni del nuovo stato, applicando riforme radicali atte a recidere i legami con l’ormai defunto Impero Ottomano e a avviare il  nuovo corso politico del Paese.  Questi passaggi cosi’ cruciali per la nuova interpretazione della Repubblica di Turchia, fondata il 29 ottobre 1923, sono ben descritti nell’opera del Prof. Fabio Grassi, Atatürk. Il fondatore della Turchia moderna, che continua a riscuotere l’ampio favore del pubblico. Un’opera unica nel suo genere, che in İtalia è andata a colmare un gap purtroppo esistente nella diffusione della conoscenza non solo della Turchia, ma soprattutto riguardo il suo fondatore. ‘L’idea è nata dall’accumularsi dei miei studi e delle mie riflessioni ma anche, non poco, da quella che era a mio avviso una deplorevole lacuna della storiografia italiana. In effetti, bisogna dire che l’Italia fascista, sia pure per i suoi obiettivi geopolitici, era stata molto attenta alla nuova Turchia foggiata da Atatürk, mentre con la repubblica la Turchia era quasi “scomparsa dai radar”’. Così esordisce il Prof. Grassi, che con un tono quasi provocatorio prosegue: ‘Una prova? Sebbene fossi tutt’altro che disattento verso le vicende politiche, nel 1980 nulla seppi del colpo di stato del 12 settembre, perché ebbe scarsissima risonanza nei nostri media. Quando, alcuni anni fa, ho visto i risultati delle elezioni politiche turche essere il primo titolo di tutti i telegiornali, mi sono detto, come i turchi, nereden nereye!’.  Proprio così: da che livello di informazione siamo partiti a quale si è arrivati! E in questo percorso, certamente, il contributo di Fabio Grassi ha fatto la differenza, sia per il contenuto che per la metodologia di presentazione e di reperimento delle fonti.  ‘La ricerca è stata relativamente difficile nel selezionare un materiale documentario, memorialistico e saggistico amplissimo. Materiale che, oltretutto, mentre scrivevo, continuava ad aumentare, per cui fu “in corsa” che recepii alcune nuove acquisizioni. Per scrivere un libro di storia, ma spesso anche un breve articolo, bisogna certamente fare una ricerca seria ma anche fare pace col fatto che non si può sapere tutto, fare pace con l’imperfezione. Ci sono persone sapientissime che si bloccano proprio su questo punto’, ammonisce con la confidenza propria di chi sa il fatto suo, avendo fatto molta strada. Oggi Grassi è professore associato di Storia dell'Europa Orientale all'Università "La Sapienza" di Roma, questa è cronologicamente l’ultima tappa di un cammino che lo ha visto spesso e, anche per periodi prolungati, in Turchia. Ma, come spesso accade, sono i primi amori a lasciare impronte indelebili. ‘Nel 1973, a dieci anni scarsi, con i miei genitori, visitai per qualche ora Istanbul. Ricordo la paura di mia madre di perdere di vista me e mia sorella nell’affollato grande mercato coperto e ricordo che – presagio? – tra Santa Sofia e la Moschea Blu mi piacque molto di più la seconda’, ricorda il Professore. ‘Tra il 1981 e il 1983, ossia nei miei primi due anni di università, seguii un percorso formativo “classico”, incentrato sulla storia del mondo occidentale. Il docente di Storia Moderna era il grande Franco Gaeta. E Gaeta, per esempio, ci parlava della lettera di Pio II a Maometto II, su cui aveva scritto un dotto articolo. E sottolineava l’importanza dell’Impero Ottomano per la storia europea. Banalità oggi, non nel 1982. Poiché mi piacciono i sentieri poco battuti, meglio ancora quelli da aprire, restai affascinato e dissi a Gaeta che mi sarebbe piaciuto fare la tesi con lui su qualcosa che riguardasse l’Impero Ottomano o la Turchia. E all’inizio del terzo anno andai a curiosare al corso di Lingua e Letteratura Turca, restando incantato da quel meraviglioso differente universo che è la lingua turca. Così cominciò tutto. Poi Gaeta morì. E le cose si svilupparono in modo un po’ diverso. Nel 1985 andai come borsista a Istanbul e iniziai a conoscere davvero la Turchia. Ci tornai molte altre volte fino al 1998, quando una proposta di lavoro ‘che non si può rifiutare mi portò a viverci per 13 anni. E naturalmente ogni tanto ci torno, per motivi scientifici, istituzionali e amicali’. Turchia oggetto di studio e ricerca, ma anche cuore pulsante di amicizie importanti, ricordi indelebili e di esperienze di vita costruite principalmente attorno a Istanbul, che a un certo punto è diventata casa. ‘Il legame con questa città è fortissimo. Basti dire che proprio a Istanbul ho conosciuto mia moglie, che a Istanbul ci siamo sposati e che a Istanbul abbiamo vissuto tutti i primi anni della nostra unione. Poiché a questo punto me lo chiedono tutti, se è italiana o turca, rispondo sempre che per non far torto a nessuno è romena. In tal modo ho realizzato, in quanto romano, un perfetto triangolo affettivo: Roma – Nova Roma – Romania. Sì, Nova Roma. Questo fu il nome ufficiale con cui Costantino rifondò Bisanzio. Mai dimenticarlo’, ammonisce divertito il prof. Grassi, dalla cui profondità di pensiero traspare una certa dose di curiosità ed originalità, ingredienti vincenti per ricerche efficaci. Nel suo curriculum, infatti, non mancano adeguati riconoscimenti, ma uno piu’ di tutti ha un significato speciale: il professorship honoris causa conferita  dall’International University of Struga, una piccola ma ambiziosa università anglofona della Macedonia. ‘Tuttavia, il massimo riconoscimento che ho avuto è stato quello dei lettori, soprattutto dei lettori non storici di professione. Sapere che il mio libro era stato da loro letto con piacere mi ha dato la più grande soddisfazione. Spesso, purtroppo, nell’ambiente accademico scrivere noiosamente è visto come segno di serietà. Invece io, anche nell’articolo più erudito, non solo cerco di scrivere in modo sopportabile ma inserisco sempre un’immagine, una curiosità, un’osservazione, una battuta, un’associazione di idee, un qualcosa che emozioni il lettore e – spero – resti nel suo cuore’. Parole vere e sincere, che nella loro semplicità marcano la differenza tra l’erudito per professione o per vocazione, tra il cattedratico e il docente.  La multidimensionalità degli argomenti è, dunque, un asset nella produzione scientifica e l’ultimo libro di Fabio Grassi testimonia lo sterminio e l'esodo forzato subìto dai circassi ad opera dell'Impero Zarista e il loro ruolo nella Turchia. ‘Se qualcuno tra chi ci legge non ne sa nulla, non deve sentirsi in difetto: anche questo è stato il primissimo libro scritto sull'argomento da parte di uno storico italiano e anch'io prima di occuparmi dell'Impero Ottomano non ne sapevo un bel niente. Quando invece stiamo parlando di una vicenda terribile e dalle profonde conseguenze’, informa con una certa severità, la stessa che traspare nelle sue considerazioni riguardo l’immagine della Turchia in Italia. ‘L’immaginario medio dell’italiano medio sulla Turchia - e sulla sua storia- è una manicomiale caricatura di quella che è per me una seconda patria, con grande colpa dei nostri media. Quando leggo o sento certe stupidaggini a volte mi dico “ma chi me lo fa fare, non posso lottare contro i mulini a vento, è inutile, sto buttando il mio tempo”, ma poi finora ha sempre prevalso la spinta a non darla vinta, a reagire, a dire le cose come stanno. Noi che ci occupiamo di Turchia siamo gente tosta, non è vero?’. Senza dubbio è così, caro Fabio; come si dice da queste parti Durmak Yok, Yola devam- Non ci fermiamo, andiamo avanti, perché è la strada che riteniamo giusta.

A cura di Valeria Giannotta



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